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L’antifascismo non serve più a niente

Non sono purtroppo pochi coloro che, in buona o in cattiva fede, dopo avere solennemente dichiarato di non coltivare alcuna nostalgia per il ventennio, sostengono che l’antifascismo non ha più senso e valore, dal momento che il fascismo, almeno in Italia, è definitivamente morto il 25 aprile 1945, e che non sussistono le condizioni di un suo ritorno. Appunto contro queste “anime belle” si rivolge polemicamente l’efficace pamphlet di Greppi. Egli confuta in primo luogo le interpretazioni benevole del fascismo avanzate da una certa pubblicistica (anche accademica), sottolineando la natura criminale e corrotta del regime; poi ripercorre l’ultraventennale vicenda delle forze che gli si opposero, e che incarnarono l’antitesi non soltanto politica, ma anche morale e ideale alla dittatura, fino all’approdo unitario della Resistenza; infine rifiuta la riabilitazione della “zona grigia” rappresentata dagli indifferenti e la contestuale condanna della violenza dei partigiani, ricordando come questa abbia avuto sempre e soltanto un carattere difensivo.

Ma l’antifascismo non va inteso soltanto in senso contrastivo: se pure così fosse, la sua funzione conserverebbe una ragion d’essere, giacché la fine del fascismo storico non ha comportato meccanicamente la scomparsa della sua ideologia e della sua cultura, le cui scorie sono ancora presenti nella società italiana. L’antifascismo ha pure una valenza propositiva, affidata alla sua volontà di costruire un mondo libero, giusto, di uguali, ai valori e agli ideali che lo hanno animato e che si sono tradotti nei principi fondamentali della Costituzione repubblicana. Essere antifascisti oggi significa appunto impegnarsi a realizzare compiutamente i precetti e le finalità della nostra Legge fondamentale.

Carlo Greppi, Laterza, Bari-Roma 2020, euro 14,00

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