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La forma della memoria

Perché un monumento alla Resistenza deve consistere nella figura del partigiano che imbraccia il mitra con lo sguardo fiero? Ce ne sono, di questo genere, sparsi per l’Italia, è vero. Ma l’architettura e l’arte plastica dedicate alla Resistenza hanno dato anche importanti opere astratte, senza negare la tensione morale che ci si aspetta da un monumento. Pensiamo alle sculture di Umberto Mastroianni a Cuneo e a Tolentino, l’opera di Nino Caruso a Pesaro, la piazza monumento di Gino Valle a Udine, le opere di Lodovico Belgioioso a Milano e Auschwitz, la cancellata di Mirko Basaldella alle Fosse Ardeatine, fino alla fontana postmoderna di Aldo Rossi a Segrate. Il monumento barese ai caduti del 28 luglio 1943 fa parte di questa tendenza che ha reagito alle convenzioni figurative del realismo declinando l’espressione formale del proprio tempo, tra razionalismo, astrattismo e arte concettuale. L’autore è Riccardo Vecchietti, architetto comunale a Bari, e l’opera – intitolata «Lance» – risale al 1973. Sulla facciata del palazzo in via Niccolò dell’Arca, dov’era era la sede del Pnf dal quale i fascisti spararono sui manifestanti, era stata affissa il 30 luglio 1944 una lapide dal Comitato di liberazione nazionale. Ma con la demolizione del palazzo la lastra fu ricollocata nel giardino, a formare un complesso monumentale, con la scultura metallica e i diseguali blocchi di ruvida pietra, analogo alla sistemazione del monumento veneziano alla partigiana di Augusto Murer, realizzata da Carlo Scarpa nel 1969. Setti di acciaio inox di diverso spessore e di differente altezza, pur riuniti insieme, fianco a fianco con tagli sghembi, sono ciò che l’autore chiama «lance» e rappresentano uomini che emergono dalla terra per difendere delle idee. La “Resistenza” è nel persistere per la salvaguardia dei princìpi in cui si crede. La pietra martellinata a mano e l’acciaio lavorato dell’industria, accostano il lavoro dell’uomo a quello della macchina. Le venti pietre di inciampo, collocate nel 2013 sul pavimento d’asfalto, sono un percorso teso tra il monumento e la via della strage. Questa era l’intenzione dell’architetto Arturo Cucciolla che aveva progettato le venti targhe di ottone in cui sono incisi i nomi e l’età dei caduti, nel luogo esatto da loro percorso. Le pietre di inciampo sono quindi una ulteriore segno denso di memoria: non un «completamento» delle Lance di Vecchietti, ma il prodotto delle loro proiezioni. Ed ora sono tutt’uno con il complesso monumentale che reclama di essere curato e restituito al suo destino di pedagogia civile.

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